Una mini-storia di due capitoli, niente di che, ma il personaggio di cui parlo vive queste situazioni tutti i giorni, quindi sarebbe una ripetizione inutile e noiosa. Ora posto il primo, il secondo lo scriverò fra poco. ATTENZIONE: È presente del linguaggio scurrile
CAPITOLO I: IL TORMENTO
Ero arrivato tranquillo a scuola, come tutti i giorni. Mi sono seduto al mio posto e, come sempre, non c'era quasi nessuno. Arrivavano tutti quando ormai stavano per essere in ritardo. Arriva il mio compagno di banco e si siede lì vicino, poi arriva anche il ragazzo che sta nel banco dietro di me. È il suo compleanno e gli faccio gli auguri. Arrivano tutti gli altri e si mettono a cantare "Tanti Auguri". Fu come una freccia nella schiena. Mi ricordai del giorno del mio compleanno. Nessuno tranne i due che avevo invitato alla mia "festa" (tra l'altro il sopra citato festeggiato era uno dei due invitati, insieme al mio compagno di banco) mi aveva fatto gli auguri, nessuno se n'era ricordato. Mi tolsi la freccia e bendai la ferita, dopotutto non ero molto popolare, né mi interessava esserlo. Lasciai perdere, poi vidi il festeggiato e il mio compagno di banco parlare della sua festa di compleanno, quella fu sempre una freccia, che passò in mezzo alle costole e mi trapassò un'arteria. Era una delle poche persone che ritenevo simpatiche, visto che sono circondato da coglioni. L'avevo invitato al mio compleanno, avevamo giocato, mangiato, scherzato. E ora stava lì, a parlare della sua festa, DI FRONTE A ME, a quanto pare uno dei pochissimi della classe che non erano stati invitati. Lo mandai a fanculo (mentalmente) e strappai via anche quella freccia. Poi arrivò lo Stronzo, sì. Alberto, il rompicoglioni (che rompe solo a me, ovviamente) dopo aver rotto le scatole un po' al mio compagno di banco colpendogli le dita con una penna, poi lo fece anche a me. Mentre lo faceva ignorai il fastidio e mi ricordai di tutte le decine, anzi centinaia di volte che mi aveva rotto i coglioni durante tre anni. Gli strappai la penna di mano, mi alzai e gliela tirai addosso, rimbalzò contro il suo braccio e finì sul mio banco, la ripresi e la ri-tirai. Avevo attirato le attenzioni di tutti, ovviamente. Certo che sei proprio irascibile... disse una mia compagna di scuola. Io? Irascibile? Ho sopportato per anni le angherie degli idioti dai quali ero circondato e, alla fine, quando l'otre fu pieno e si continuò a versare l'olio rancido, sono esploso. Presi una spada infuocata, corsi verso di lei e l'aprii in due. Ah, magari avessi potuto farlo. Feci per dire ciò che avevo dovuto sopportare, ma lasciai perdere, era inutile. Un muro ascoltava di più. Mi sedetti e lasciai perdere, la giornata passò come al solito. Nei giorni successivi non accadde nulla di particolare, solite rotture di coglioni, non riuscire ad ascoltare le lezioni perché gli altri DEVONO dare fastidio ecc. il tutto contornato dall'incompetenza e dalla deficienza cerebrale di quegli stupidi insegnanti che mi ritrovo.
CAPITOLO II: IGNORANZA
Ignoranza. Ritengo che questa parola descriva perfettamente coloro che mi circondano. Ottusi, idioti, senza il benché minimo desiderio di conoscenza. E poi descrive anche il loro atteggiamento nei miei confronti. A chi importa di me? Chi mi ascolta quando parlo? Solo i miei genitori. Quando parlo nessuno mi ascolta, ad esempio oggi stavamo giocando a dodge ball (una delle poche attività motorie che mi piacciono) e ho un piano. Ascoltatemi dico alla mia squadra Aspettate che tirino, quando abbiamo tutte le palle ne prendiamo uno di mira e tiriamo uno alla volta le palle, finché non lo colpiamo dissi, il piano prevedeva il colpire uno alla volta gli avversari, lento ma efficace e riduceva al minimo le perdite dalla nostra parte. Sì, sì disse con noncuranza l'unica persona che si era minimamente degnata di ascoltarmi. Ignorando completamente il piano sono andati allo sbaraglio e abbiamo perso. Ma questo esempio di ignoranza nei miei confronti è il migliore. Ce n'è uno che mi fa imbestialire. Sto parlando con un mio amico, poi lo chiama un altro e si gira per parlare con lui. Questo non accade solo con quello là, no, con chiunque altro oltre a me. E rimane anche mezz'ora a parlare, al che io rimango ad avere come unico interlocutore il mio cervello (beh, almeno parlo con qualcuno di intelligente). Oppure ancora, e questo è il peggiore, chiamo un mio amico. Quello non sta facendo un cazzo, è lì tranquillo, leggermente girato ma senza nessuno che ci parli o qualcosa che lo distragga. Rimango qualcosa come un minuto a chiamarlo, poi lo chiama un altro e subito dopo si gira. Cos'ho io per non meritare alcuna attenzione? Almeno mi dicessero "Scusa, ma adesso non voglio parlare" o almeno "Mi stai sul cazzo, smettila di rompermi i coglioni", ma no, mi ignorano. Questo atteggiamento mi da incredibilmente fastidio, sopratutto perché io non lo faccio. Io sono stato educato, per essere gentile e prestare attenzione a tutti. Quando qualcuno mi parla, lo ascolto, anche se mi sta parlando del panettiere del cugino della zia del fioraio di suo padre, cancello subito quel che mi ha detto dalla mia mente, perché non me ne può interessare di meno, ma ascolto. Io non riesco a ignorare le persone, se non per scherzo, né a insultarle seriamente, al massimo lo faccio mentalmente, unica magra consolazione. Accetto le sgridate e non contesto, se non quando egli è in torto, le decisioni altrui. L'esatto contrario dell'atteggiamento dei miei compagni. L'esempio più lampante è Lara, una di quelle che non sanno niente, non hanno voglia di fare niente e si arrabbiano quando glielo dicono. È circa un'ora che ciarla, ciarla senza limiti, insieme alla sua compagna di banco (la mia solita sfortuna ha voluto che me la ritrovassi nel banco di fronte) la professoressa, dopo la trentordicesima volta che la sgrida, si stanca e le chiede il diario. Ma io non ho fatto niente osa anche dire, dopo che tutti si sono accorti di quello che stava facendo. La professoressa, trascinata dall'ira, dice due frasi senza terminarne neanche mezza, le prende il diario e inizia a scriverle la nota, mentre quella continua a lamentarsi. Se io fossi suo padre e la vedessi fare una cosa del genere la prenderei a schiaffi fino a quando la pelle delle guance non si consuma fino ad esporre la carne che sta sotto di essa. Ma io mi chiedo: che genitori di merda permettono che i loro figli si comportino così? Io non mi sognerei mai di fare una cosa del genere, se ho torto lo accetto, magari mi incazzo perché i miei genitori mi uccidono se torno a casa con una nota, ma non mi lamento del fatto che mi abbia giustamente dato una punizione. Senza contare che gente come lei ottiene oggetti come iPhone, iPad, iStocazzo ecc. cose che a me non interessano, ma l'equivalente in denaro mi interesserebbe eccome. Ma la parte più "divertente", o deprimente, non saprei, è che i genitori dicono che "se li sono meritati, sono bravi a scuola" quando il loro voto più alto è un otto, allora io mi incazzo, se proprio vuoi dare una giustificazione danne una credibile.
Edited by Xetios - 20/3/2013, 18:16
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